Hitler non mi ha stretto la mano, ma neanche il Presidente degli Stati Uniti

31/03/2022

Oggi 31 marzo ricorre la morte di un grande uomo che ebbe il coraggio di criticare il presidente del suo paese, confrontandolo con il peggior dittatore della storia Adolf Hitler, e volevo omaggiarlo nel modo giusto. Che sia chiaro, non paragonando i due capi di stato, ma analizzando semplicemente la verità e i dati di fatto. La forma che ho trovato è stata, pubblicare in parte, questo bellissimo e ricercato articolo di Matteo Di Medio Caporedattore e Autore presso Giocopulito.it dedicato a James Cleveland Owens per il mondo Jessi Owens.

Un uomo di razza nera, che dopo aver vinto a Berlino 4 medaglie d'oro, proprio alla presenza di Adolf Hitler ha avuto il coraggio rientrando negli USA di dire:

"Vero, Hitler non mi ha stretto la mano ma fino a qui non lo ha fatto neanche il Presidente degli Stati Uniti."

Jesse Owens: il nero che incantò Hitler

Il 31 marzo 1980 moriva Jesse Owens, leggendario corridore statunitense che alle Olimpiadi del 1936 nella Berlino nazista conquistò 4 medaglie d'oro davanti a Hitler. Per molti fu un simbolo antinazista, ma la verità, raccontata da lui stesso, era tutta un'altra cosa.

Quando nel 1931 il Comitato Olimpico Internazionale individuò nella Germania il paese organizzatore dei Giochi del 1936, non avrebbe mai immaginato che, a distanza di due anni, proprio in terra teutonica, potesse salire al potere un ometto di piccole dimensioni e ancor più piccole ideologie, divenuto famoso per essere stato l'impersonificazione del male assoluto di tutta la storia del'umanità. Al secolo, Adolf Hitler.

Come non si poteva neanche minimamente ipotizzare lo sfavillio di svastiche, aquile inquisitrici e 120 mila braccia tese il giorno della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Berlino, 1 agosto 1936. Ma cosa sarebbe, anche nell'immaginario collettivo, una nazi olimpiade senza i suoi simboli e i significati ad essi associati? [...leggi qui l'articolo completo...]

I giochi del 1936 vennero ricordati come una delle edizioni meglio organizzate nella storia delle Olimpiadi. Per la prima volta furono trasmesse in televisione e vennero adibiti dei teatri per consentire la visione anche a coloro che non disponevano del piccolo schermo. Vennero costruiti impianti e nuovi stadi. Ristrutturati quelli vecchi e portati a termine importanti lavori di urbanistica. La cerimonia di apertura, tolte le svastiche di cui sopra, fu solenne e precisa. L'apoteosi al momento dell'ingresso della fiaccola, dopo oltre 3 mila chilometri percorsi in giro per il mondo, fu un momento da ricordare. Anche questa fu una pratica che iniziò ad essere di routine a partire dal 1936.

Come è semplice immaginare, l'idea di una Germania potente e fiera doveva trasmettersi anche sul campo, attraverso le vittorie sportive. E, anche in questo caso, così fu: il medagliere ci racconta un podio in cui a primeggiare è proprio la nazione del Führer con 89 medaglie totali, seguita da Stati Uniti e Ungheria.

In questo clima di orgoglio ed identità nazionale, tra festeggiamenti e marce trionfali, cosa mai sarebbe potuto andare storto? La risposta è Jesse Owens.

Lui come tanti altri atleti e personaggi sono stati, vergognosamente strumentalizzati, dalla propaganda americana. Come dice Cristina, io non sono afro-americana, ne mulatta, neanche nera, o negra, meno ancora di colore, io sono ... Cristina.

James Cleveland Owens, nasce ad Oakville, Alabama, nel 1913. Jesse, soprannome dato dal suo insegnante per via della sua pronuncia "slangata" di J.C., è il settimo di dieci figli di una famiglia che definire povera è un complimento. All'epoca della sua infanzia, l'America viveva la Grande Depressione e gli Stati del Sud erano la fotografia esatta della situazione in cui versava la gente di colore all'epoca. A nove anni si trasferì in Ohio e cominciò a praticare la corsa e il salto in lungo. Gli allenamenti, tra le pause del suo lavoro in un negozio di scarpe, presso l'Università dell'Ohio.

Ma cosa c'entra questo ragazzo del sud, figlio di un contadino, con la magnificenza di Berlino?

C'entra perché Jesse Owens, in quelle Olimpiadi, a 23 anni compiuti, si portò a casa 4 medaglie d'oro rispettivamente dei 100 metri, i 200, la staffetta 4×100 e il salto in lungo. Un afroamericano sul tetto mondiale di fronte al Führer sotto al cielo svasti-stellato. Incredibile.

Ancora più incredibile fu, però, la reazione del Leader tedesco. E qui la storia si mescola con il mito. O meglio dire, la politica si mescola con lo sport. Perché esistono due versioni diverse circa l'episodio. [...]

Al suo ritorno in patria, Jesse provò a più riprese a difendere la sua verità in merito ai Giochi Olimpici di Berlino 1936 ma le sue parole vennero ignorate dai giornalisti che invece volevano convincere la gente del contrario.

"Vero, Hitler non mi ha stretto la mano ma fino a qui non lo ha fatto neanche il Presidente degli Stati Uniti."

Questa la sua batosta al Presidente Roosevelt. Che si tradurrà più avanti nel supportare il Partito Repubblicano nella corsa alla elezioni.

Il Presidente, per impegni legati alla campagna elettorale, non aveva potuto, o voluto, organizzare un incontro con il campione dell'atletica per magnificare le sue gesta alla Casa Bianca, cosa che era già accaduta in passato e regolarmente per gli altri atleti. Si diceva, infatti, che il leader democratico avesse portato a termine qualche buona iniziativa in merito alle condizioni della popolazione nera in America ma, nei fatti, aveva chiuso l'occhio di fronte ai molti trattamenti inumani subiti dagli afroamericani, come la quasi assenza di diritti sul lavoro. Anche il New Deal aveva avuto effetti benefici soprattutto per i bianchi.

Da qui nasce il paradosso di Jesse Owens: un nero trattato meglio dai nazisti che dai suoi fratelli americani?

Bastava anche una telefonata. Ma il telefono di Jesse non squillò mai. O un telegramma. Niente. [...]

Nel 1976 riceve la massima onorificenza per un civile, la "Medaglia Presidenziale della Libertà". Berlino gli ha dedicato una via nel 1984. Nel 1990, Bush padre gli conferisce la "Medaglia D'Oro al Congresso".

Eppure, all'epoca, Jesse Owens non era considerato come oggi. Le sue parole contro Roosevelt avevano indispettito i giornalisti e l'opinione pubblica.

Ma come? Difende Hitler?

La verità è che per Jesse la situazione in Germania nei confronti degli ebrei non differiva molto dalla condizione che la sua gente sopportava ogni giorno in suolo a stelle e strisce. 

I neri vivevano in baracche, senza alcun diritto o quasi. I campi dove lavoravano più che "posti di lavoro" erano molto simili ai ben più noti e demonizzati "campi di lavoro" nazisti. E a lui non andò mai bene che, buttando fumo negli occhi della gente con il mostro del nazismo e delle leggi razziali, con la sua faccia a fare da testimonial, il popolo dimenticava le sofferenze patite dai propri connazionali.

Jesse Owens è due volte un simbolo di libertà. Da una parte il campione che si innalza sopra la riluttanza nazista di fronte al primo rappresentante della folle discriminazione razziale e dall'altra l'uomo che combatte affinché la sua verità, seppur scomoda, venga portata alla luce priva del servilismo monotematico della propaganda americana.

Perché in Germania c'era il razzismo. Ma negli Stati Uniti pure.

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Grazie Matteo un articolo di qualche anno fa, ma molto attuale, Owens non fu oggetto di discriminazioni razziali da parte dei tedeschi, anche se la politica di Hitler lo era, ma sicuramente lo fu, come milioni di ragazzi neri, da parte degli americani bianchi. Nella città di Berlino poteva andare in bagno assieme ai tedeschi bianchi, ma in seno alla squadra olimpica americana, poteva andare solo nei bagni riservati ai neri.

Lui come tanti altri atleti e personaggi sono stati, vergognosamente strumentalizzati, dalla propaganda americana. Propaganda che anche oggi, come dopo la 2a guerra mondiale, nasconde i nazisti e i razzisti bianchi tra i profughi e mette in fondo alla fila gli altri.

E Lui morto a 66 anni, in povertà, e totale abbandono, ci stava inviando il più chiaro dei messaggi:

"non sono afro-americano, neanche nero, o negro, meno ancora di colore, io sono ...Jessi..., l'uomo che fece passare notti insonni a Hitler e Roosevelt" .


Djàvlon